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La prigione della coscienza: un saggio su Evangelion

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Il testo giapponese/inglese è stato scritto da Manabu Tsuribe. Traduzione italiana di Daniele Chetta e Viviana Esse.

Ho visto “The End of Evangelion” (1997), l’ultima parte della serie Evangelion. In Giappone, ogni persona ha già dato le più varie impressioni, e sembra che si dibatta tanto a favore come contro, anche un pò per la distribuzione in TV. Qui mi piacerebbe esprimere le mie impressioni, o comunque sviluppare un qualcosa come un saggio critico sulla serie Evangelion.


The End of Evangelion (1997)
The End of Evangelion (1997)

Evangelion è un prodotto ambiguo. Da una parte si appella fortemente alla sensibilità dell’Otaku, ma dall’altra insinua una radicale critica alla mentalità otaku.

(Qui uso la parola “otaku” nel senso più ampio del termine (in maniera tollerante), letteralemnte esso implica un senso negativo, come una mancanza di socievolezza, una condotta infantile o egocentrica della mente. Sfortunatamente questa parola non si limita ad indicare un fan o un amante degli “Anime”.)

In un certo verso Evangelion è estremamente interiore, carente di socialità, tanto da sembrare che rifletta la patologia dei nostri tempi. Io penso che per molte persone non è altro che un cattivo prodotto semplicemente per aumentare il numero degli Otaku.

Per esempio, alcuni critici giapponesi, come Eiji Otsuka e Tetsuya Miyazaki, criticavano la serie tv Evangelion negli ultimi due episodi, nei quali il monologo interiore di Shinji (l’eroe della serie) va avanti tutto il tempo, come un lavaggio del cervello o come psicoterapia, ed era dunque solo un’affermazione dell’autistica tendenza alla fuga degli otaku. Yoshiyuki Tomino, che ha diretto diverse produzioni passate come Gundam Ideon, -questi anime hanno avuto una grande influenza su Hideaki Anno, il regista di Evangelion-ha criticato aspramente Evangelion dicendo che è una sorta di cartella clinica di una persona malata che rinchiude se stesso nel mondo dell’informazione e non si accorge della realtà.

Forse c’è una mezza verità in queste critiche, ma Evangelion non è solo un prodotto che si ferma alla auto-affermazione di “essere otaku”; piuttosto è un prodotto di auto-critica della coscienza di “essere otaku” o “essere anime”.

L’ultima parte della serie tv Evangelion, specialmente gli ultimi due episodi, hanno la chiara intenzione di rompere il dominio chiuso, esclusivo dell’anime, il quale continua ad offrire un narcisistico piacere agli otaku. Questo è Evangelion, ha intenzione di rompere il serrato dominio dell’anime, non dall’esterno, ma dall’interno, rimanendo con esso, proprio mentre la sua purezza è al massimo, o al contrario sfruttare l’autodistruzione dell'”anime” al suo massimo limite.

L’ultima parte della serie Evangelion -nella quale lo sviluppo della storia viene fermato dal monologo interiore di Shinji e nella quale lui afferma la sua irragionevolezza, dicendo: “Io non posso restare qui!” -non era un gioco per la salvezza di se stessi -molta gente lo ha interpretato erroneamente- come un lavaggio del cervello o una psicoterapia, ma un qualcosa come una molestia con malignità e ironia verso molti anime fan. Penso che l’ultimo messaggio contenuto nell’ultimo episodio della serie tv -26ep.”La bestia che grido amore nel cuore del mondo-Take care of yourself!”- fosse una citazione dell’ultima scene dell’anime di Yoshiyuki Tomino: THE IDEON (1982), come molte persone hanno già fatto notare! Nell’ultima scena di “THE IDEON”, dopo che l’intera razza umana si è estinta, le anime dei protagonisti morti stanno vagando nello spazio cosmico e sentono una canzone, “Happy birtday dear children!”. Ciò è ironico, in breve, l’ultimo episodio della serie tv Evangelion implica che l’interiorita serrata ed auto-sostenuta non è altro che una specie di “morte”, se consideriamo la morte come la perdita degli altri. Inoltre implica che il mondo gioioso per gli otaku, come la prima metà della serie di Evangelion, non aiuta a giungere alla morte in considerazione della sua riservatezza.

In un certo senso Shinji, l’eroe di Evangelion, non ha una personalità con la quale il pubblico simpatizza, però il suo introspettivo stato mentale fa sì che Shinji sia un punto visuale che interpreta il mondo come un tutto. Il mondo di Evangelion, in se stesso, è un’interiorità chiusa così come è distintamente rappresentato dal monologo negli ultimi due episodi della serie.

The Ideon: A Contact/Be Invoked (1982)
The Ideon: A Contact/Be Invoked (1982)

Per Shinji questa interiorità serrata appare come una realtà immobile nella quale è già caduto. Il tema che affiora in superficie nella seconda metà della serie tv Evangelion and anche nei relativi film è la serrata interiorità. Il tema è: Che fare con questa serrata interiorità, o prigione della coscienza? Dovremmo accettarla come realtà, o dovremmo spogliarci di essa? In altre parole, il tema è qualcosa come l’inevitabilità ed i limiti del tentativo di interiorizzare il mondo.

Il mondo della prima metà della serie tv Evangelion, che è stato pieno della gioia dell’anime, collassa gradualmente nella seconda metà: nel 18° episodio, l’unità Evangelion-01 -con Shinji al suo interno- attacca l’unita Eva-03 come un “Angelo”, e Touji, pilota dell’unità Eva-03 nonchè amico di classe di Shinji, viene gravemente ferito e perde una gamba. Nel 22° episodio, Asuka, pilota dell’unità Eva-02, diventa quasi una specie di morto vivente per l’attacco psichico dell’Angelo, che la rende insana di mente. Nel 23° episodio, Rei, il pilota dell’unità Eva-00 -nell’episodio si è scoperto che lei è una sorta di clone creato dal corpo della madre di Shinji- si fa saltare in aria per proteggere Shinji dall’attacco dell’Angelo, e la città in cui Shinji vive (Neo Tokyo Tre) diventa un cumulo di macerie. Nel 24° episodio, Shinji viene spinto ad uccidere Kaoru, un ragazzo divenuto caro amico di Shinji, come un Angelo, un nemico. Negli ultimi due episodi, lo sviluppo della storia viene fermato ed il prodotto Evangelion stesso crolla come se rigettasse il completamento di se stesso come anime. E’ come la chiusura del mondo o la morte stessa.

In questo mondo chiuso, il piacere precedente sta cambiando, al contrario, in dispiacere per divenire nuovo piacere nel rompere questo chiuso mondo… c’è una svolta come questa nel passaggio dalla seconda metà della serie tv alla versione cinematografica (i film per intenderci).

La seconda metà della serie tv Evangelion, nella quale un mondo di gioia sta collassando e chiudendosi perchè è stato semplicemente edonistico e regressivo, mi ricorda il film di Mamoru Oshii: Lamù 2 Beautiful Dreamer (1984). In “Beautiful Dreamer”, una commedia dalla farsa senza fine in una scuola superiore come la serie Lamù -Oshii stesso ha diretto la serie tv- è dipinta come un mondo ideale per Lamù, l’eroina, o come un evento nello spazio interiore di Lamù. Nel mondo, lo scorrere del tempo viene fermato ed un giorno, sempre lo stesso giorno -il giorno prima del festival scolastico- viene ripetuto ancora ed ancora. Nello spazio interiore le persone erano d’ostacolo per Lamù scompaiono una ad una, e la città in cui Lamù vive cade in rovina, eccetto che per la casa in cui vive Ataru Moroboshi -l’eroe nonchè il “tesoruccio” di Lamù- ed il vicono “convenience store” (mini-market). Più la purezza del mondo come utopia per Lamù si intensifica, più la chiusura e la finzione del mondo divengono notevoli. Ataru vaga nel mondo degli spazi interiori come questo e poi prova a tornare dall’infinita catena di questi spazi (che appaiono come sogni) alla realtà.

Urusei Yatsura 2: Beautiful Dreamer (1984)
Lamù 2 Beautiful Dreamer (1982)

In The End of Evangelion si presentava la tesi che la realtà è la fine di un sogno. Riguardo alla tesi, il “Beautiful Dreamer” di Oshii precede “l’Evangelion” di Anno. Se il mondo della serie tv Lamù è cambiato improvvisamente a livello di “Beautiful Dreamer”, è lo stesso con gli ultimi due episodi della serie tv Evangelion. La ragione, secondo cui la serie tv Evangelion sembra crollare nella conclusione, è che il cambiamento -dalla finzione alla meta-finzione – è troppo improvviso ed auto distruttivo. Sembra che la gente, che ha mostrato una reazione di rigetto per gli ultimi due episodi della serie tv, non ha potuto tollerare l’ironia e l’autoreferenzialità.

Il mondo dove Shinji agiva con l’unità Eva-01 e combatteva contro gli Angeli, il mondo di una buffa storia d’amore in una scuola media inferiore, nel quale non ci sono nè Evangelion nè Angeli (l’ultimo episodio della serie tv), il mondo in cui le persone si congratulano con Shinji e in cui afferma se stesso, il mondo in cui Shinji, Asuka, Rei e Kaoru sono riesaminati come un quartetto unito nella hall della scuola (Evangelion: Death)… Si può pensare che ognuno di questi mondi era un evento nello spazio interiore, o un avvenimento in un mondo parallelo. Il tema di Evangelion è, così per descriverlo, il mondo come interiorità!!

E’ pressochè impossibile trattare questo tema come una storia, in considerazione della sua auto-referenzialità. Dato che il lavoro Evangelion è un’interiorità, esige necessariamente che Evangelion, come storia, debba crollare.

Forse Evangelion rinuncia ad essere una storia ad un certo punto, credo. Nel 6° episodio della serie tv, Shinji e Rei -i quali erano dei ragazzi dalla mente molto chiusa in se stessa- combattono insieme contro un Angelo e aprono così le loro menti, scambiandosi sorrisi l’un l’altro. Sebbene questa scena fosse probabilmente il primo culmine (apice) della serie, forse Neon Genesis Evangelion come storia della crescita e dell’indipendenza di un ragazzo termina qui ed anche Evangelion come storia termina qui. Nella seconda metà della serie tv e nella versione film, lo scorrerer del tempo, come storia, si è fermato ed il mondo di Evangelion si è avvicinato gradualmente ad un’auto-referenziale realtà. Non ci sono sviluppi della storia qui.

La maggior parte delle persone che critica Evangelion, indica che esso presenta un difetto,un’interruzione come storia. Di certo, infatti, Shinji non è un eroe di una storia, vale a dire che egli non prova a fare nulla per se stesso, non “cresce”, nè diventa “indipendente”. Quella sorta di indicazione è corretta, in se stessa. Ancora, come ho già menzionato, ciò che Evangelion tratta è un tema auto-referenziale, che racconta della sua stessa interiorità, e non può essere trattato come una storia, perciò è sbagliato valutarlo o criticarlo come tale.

“The End of Evangelion”, uscito come film, è un rifacimento degli ultimi due episodi della serie tv, ed è l’ultima creazione della serie. Penso che il più grande punto in discussione, unito alla valutazione di quest’ultima cerazione, sia questo: Evangelion finisce solo nell’auto-affermazione di un’interiorità chiusa, oppure mostra il modo di uscire da una prigione di auto-coscienza?

Sembra che alcune persone abbiano anticipato che la versione del film di Evangelion sarebbe finita come la storia della “crescita e indipendenza di un ragazzo”, come un “Bildungsroman”, ma “The End of Evangelion” ha evitato una fine cosi popolare, ed è stato realizzato come un’opera che rivisitasse gli ultimi due episodi della serie in un altro modo. “The End of Evangelion” è una ripetizione e una variazione del tema presentato nell’ultima metà della serie. Non è il finale di una storia.

Alcune persone credono che l’ultimo episodio di Evangelion non termini come storia della crescita e dell’indipendenza di Shinji -Shinji non è mai cambiato- e lo criticano solo sulla base del fatto che finisce, dopotutto, in un’auto-affermazione della mentalità otaku, ma io penso che Evangelion eviti consapevolmente di parlare di una storia di “crescita e indipendenza”, la sua semplicità o la sua impetuosità.

Quando “il progetto di perfezionamento dell’uomo” -un’alienazione delle personalità individuali, o l’integrazione organica di tutte le persone- si stava realizzando, Shinji rifiuta l’attraente fusione con Rei-sua madre, e sceglie di dover essere con Asuka, l’altra con cui mai potrà “fondersi in uno” (The End of Evangelion). Per Shinji, Asuka è ora l’altra persona che mostra una fredda opinione di lui, e non c’è più nessuna stanza in cui recitare come in una comica storia d’amore tra loro, come la prima parte della serie.

Secondo il mio punto di vista, “The End of Evangelion” finisce nella fase in cui Shinji, l’eroe, riconosce Asuka come “l’altra”. Per Shinji, Asuka è un’esistenza ambigua. Da una parte lei gli fa prediche e lo stimola perchè si occupa di lui, ma da un’altra lei è anche un’esistenza che va oltre il suo controllo -l’altro che non potrà mai essere interiorizzato-. L’ambiguità di Asuka è anche l’ambiguità del lavoro di Evangelion.

Gli ultimi due episodi della serie Tv Evangelion e “The End of Evangelion” sono in relazione come una sindrome di Möbius. Ci sono le due visioni dell’uno e lo stesso tema. La scoperta dell'”altro” in “The End of Evangelion” è l’opposta espressione della perdita dell'”altro” che c’è negli ultimi due capitoli della serie. Le persone semplici che possono non leggere l’ironia negli ultimi due episodi della serie tv, si lasceranno probabilmente sfuggire l’essenza critica di “The End of Evangelion”.

In un contesto filosofico, il lavoro di Evangelion rassomiglia a “l’esistenza e il nulla”, di Jean-Paul Sartre. In “l’esistenza e il nulla”, Sartre prova ad introdurre il soggetto individuale e accidentale nella sua filosofia, relazionandolo con l’altro -che non potremo mai interiorizzare (concepire)-, cosi da criticare l’idealismo di Hegel o di Heidegger. In “The End of Evangelion”, Asuka dice a Shinji: “se non diventi del tutto mio, non voglio niente”, e Shinji cerca di strangolarla poichè non lo ha trattato teneramente e va molto oltre il suo controllo. I loro rapporti sono, in breve, tutto-o-niente. Ciò che Sartre chiama “conflitto” -tra lo stesso e l’altro- è così una situazione. E’ una relazione in cui ognuno cerca di trattare l’altro come una “cosa” di sua proprietà.

In questo contesto, “il progetto per il perfezionamento dell’uomo” corrisponde al sistema della filosofia di Hegel. E’ un sistema ad anello, in cui l’inizio è la fine e la fine è l’inizio. Questo è un pensiero ideale, poichè è solo un'”autorealizzazione dei concetti”, dopotutto,-benchè essa implichi ogni contraddizione e confronto dinamicamente- e integra (assimila) tutte le contraddizioni e i confronti monisticamente. In questo pensiero, l’individualità e l’accidentalità sono ridotte all’universalità e all’inevitabilità. Come risultato il relazionarsi con l’altro è interiorizzato, e l’esteriorizzazione dall’esistenza all’ideologia si estingue.

Nel sistema di Hegel, il “tutto” è nulla più di un processo per la fine (conclusione/scopo). Il tutto è legato alla fine, vale a dire, la fine è presupposta come il principio. In questo sistema, il processo in cui un bambino diventa uomo, e persino la storia del genere umano, sono guardate come un processo come questo. E’ il processo dell’evoluzione per fasi,verso la realizzazione di un’idea. Inutile dirlo, questo pensiero non è altro che un ideale borghese come una interpretazione ideale della storia, come Marx criticò ne “l’ideologia tedesca”. Sartre provò a staccarsi da tale idealismo.

Ne “l’esistenza e il nulla”, Sartre si riferisce al pensiero di Kierkegaard circa “il singolo”, allo scopo di criticare l’idealismo Hegeliano. Ciò che Kierkegaard chiamava “il singolo che affronta Dio” è il modo di essere un singolo nel rapporto con Dio come “l’altro” -non il concetto universale di Dio ma un concreto individuo chiamato Cristo. Inutile dire che il titolo del 16° episodio della serie tv Evangelion -“Malattia mortale e poi…”- è una citazione dal titolo del libro di Kierkegaard. Evangelion afferra correttamente il significato etico del pensiero di Kierkegaard, come “l’esistenza e il nulla” di Sartre.

Comunque sia, la concezione dell'”altro” di Sarte ha generalmente la tendenza ad avvicinarsi ad un umanitarismo ideale (ideologia borghese), poichè fondamentalmente presuppone l’identità tra lo stesso e l’altro. Nel contesto filosofico della Francia, gli strutturalisti -a capo dei quali vi era l’antropologo Claude Lévi-Strauss- criticarono Sartre circa tale concezione. Il pensiero di Sartre è, così com’è stato, zittito in una prigione di auto-coscienza. Così come lo pose Lévi-Stauss, esso è un “prigioniero del cogito” (La Pensée sauvage). Ancora, esso ha uno sguardo sul relazionarsi individuale e accidentale con l’altro -che non potremo mai interiorizzare- che Hegel e Heidegger non hanno. La stessa cosa può essere detta del lavoro Evangelion.

Qui non ho intenzione di continuare a parlare ancora a lungo circa l’essenza critica di Evangelion, poichè ciò che Evangelion tratta è una situazione attuale, di cui non possiamo parlare oggettivamente, come una storia,-possiamo solo viverla. Le risposte sono nelle nostre menti. Ad ogni modo, la serie di Evangelion, che rappresenta una delle più grandi opere anime degli ultimi anni, è stata magnificamente completata in “The End of Evangelion”. Infine, mi piacerebbe porgere le mie sentite “congratulazioni” per il suo completamento.

Febbraio 1999

The old URL: http://www001.upp.so-net.ne.jp/tsuribe/anime/critique/evait.html